La “giusta transizione”, entrata nel preambolo degli accordi di Parigi sul clima globale, è, nel senso più stretto, una gestione della “decarbonizzazione” che non carichi di peso sproporzionato i lavoratori e i consumatori “deboli” delle fonti fossili.
La conversione ecologica dell’economia e della società nel lungo periodo sicuramente è di vitale interesse per tutti: ma occorre saper bene ripartire gli inevitabili “sacrifici” del qui ed ora che alcuni dovrebbero sopportare più di altri.
L’errore paradigmatico da evitare è l’ecotassa alla Macron: non si può ignorare che, in un momento di ristagno economico e nel pieno di una clamorosa redistribuzione dei redditi a favore dei ceti più ricchi (in particolare la famosa élite dell’1%), certe misure solo teoricamente giuste non possono che suscitare rivolta sociale da parte di chi, già colpito dalla crisi, “ce la fa a stento (quando ce la fa)”.
La “giusta transizione” va condotta come un processo partecipato in cui l’ultima istanza decisionale appartiene al governo legittimo; ma la discussione deve coinvolgere seriamente, ai vari livelli territoriali, anche le organizzazioni datoriali, le OSL e le organizzazioni ambientaliste, ecopacifiste e dei consumatori.
A livello internazionale è ormai acquisito che non si tratta di “affare dei soli sindacati”, ma il problema riguarda l’intero movimento per la giustizia climatica.
La “giusta transizione”, ad essere logicamente coerenti, dovrebbe coincidere con l’obiettivo della “piena occupazione verde”, che starebbe alla base di un “Green New Deal“: anche in Italia è un orizzonte progettuale fatto proprio con concretezza di proposte da soggetti economici e culturali di rilievo, interessati ad una “prosperità” non ossessionata dalla “crescita”.
Con questo processo si andrebbero a definire ed implementare, nel sostegno al reddito e alla ricollocazione dei lavoratori del settore fossile in dismissione, politiche sociali ed economiche di equa redistribuzione del reddito, investimenti sostenibili, promozione di lavoro dignitoso e “pulito”, pari opportunità oltre ogni barriera di genere.
La lotta per la Giusta Transizione si caratterizza perciò come questione di potere e di democrazia, anche di democrazia del lavoro; di accesso all’energia per tutti, di controllo sociale e democratico dell’energia e delle reti, di giustizia sociale, di diritti umani, di equità di genere, di difesa dei diritti delle popolazioni indigene e di autodeterminazione delle comunità.
Tutto quanto sopra citato bisogna che faccia necessariamente riferimento al “diritto alla pace” riconosciuto dall’ONU (con risoluzione 71/189 adottata il 19 dicembre 2016 dall’Assemblea Generale) e da fondare su quattro pilastri del diritto internazionale: 1) i diritti umani e sociali; 2) il controllo degli armamenti e il disarmo (a partire dal disarmo nucleare); 3) l’agenda ONU per lo sviluppo sostenibile; 4) l’accordo di Parigi sul clima globale (appunto).
Un esempio molto avanzato di come si possa mettere insieme il contrasto alle due minacce intrecciate, quella climatica e quella nucleare, lo dà lo Stato della California con la sua decisione del 28 agosto del 2018: supportare il Trattato di proibizione delle armi nucleari ponendo come motivazione centrale l’impatto climaticamente devastante (vedi inverno nucleare) di una guerra “atomica” che può essere scatenata persino per caso o per errore.
(Per approfondire si vada su: https://sognandocalifornia.webnode.it/)
In questo modo – cioè legando le questioni economiche all’affermazione dei diritti in un orizzonte complessivo e globale – la lotta per la giusta transizione assumerebbe in sé la lotta per trasformare l’attuale sistema profondamente ingiusto (e belligeno!) in un sistema radicalmente diverso, equo, sostenibile, strutturalmente pacifico.
L’Europa, l’Italia e la giusta transizione
Entrati nel secolo XXI, siamo come minimo europei prima ancora che italiani e, al di là del fatto che dovremo confrontarci con l’importante scadenza elettorale del maggio 2019, dobbiamo innanzitutto pensare a cosa di concreto ha fatto finora l’Europa e se potrebbe fare ancora di più anche con il contributo dell’Italia.
Quello per cui ci battiamo è che l’Italia europea, in discontinuità con il passato e da quanto vediamo sinora anche con il presente, si proponga come traino generale per tutta l’Europa innanzitutto dando il buon esempio sulla gestione nazionale di una Giusta Transizione.
Dobbiamo quindi, in Italia, rivedere la SEN ed adottare il Piano clima energia in un’ottica europea proattiva: quello che ci proponiamo di fare dovrebbe andare nell’interesse degli europei tutti e quindi anche degli italiani che sono parte di questa comunità di valori e di destino, ponte verso la cittadinanza planetaria, implicita nel diritto internazionale.
Il governo del (sedicente) cambiamento, con i suoi primi atti (pro TAP e pro TRIV ad esempio) e con la sua legge di Bilancio del 2019, ha purtroppo confermato la sua subalternità al modello fossile e delle grandi opere nocive (significativo anche che non si tocchino i circa 16 miliardi annui di sussidi ambientalmente dannosi e alle fonti fossili); e non ha stanziato adeguati investimenti per infrastrutture per le energie rinnovabili, digitalizzazione delle reti, efficienza energetica degli edifici, mobilità sostenibile e ricerca e sviluppo in questi settori.
Detto questo, nemmeno possiamo nasconderci, rispetto ad esempio a quanto abbiamo verificato a Katowice, che – Italia o non Italia – una “ritirata” della intera UE sia in atto rispetto al deciso ruolo primario di propulsione esercitato a Parigi nel 2015.
Dopo la COP 24 comunque si può tirare – crediamo – un sospiro di sollievo perché dobbiamo prendere atto che, tutto sommato, nonostante i tentativi di boicottaggio portati avanti dalla nuova amministrazione USA (questa volta affiancata da Russia, Arabia Saudita, Australia, Turchia e Brasile), l’impianto di Parigi ha sostanzialmente retto e che, nonostante i ritardi e le ambiguità, ci sono ancora spazi e possibilità per il completamento del programma di lavoro nella COP25 prevista in Cile e nella COP26 che si terrà – speriamo – in Italia: il ministro Costa ha candidato il nostro Paese ad ospitarla.
Le nostre proposte per realizzare la giusta transizione in Europa
La società civile internazionale – le attiviste e gli attivisti, gli studenti, le ONG, gli avvocati, i leader delle comunità indigene – era presente sia dentro il Palazzo della COP24 di Katowice, sia fuori con i suoi presidi e le sue mobilitazioni; ed è stata propulsiva nel promuovere un elemento primordiale della consapevolezza più generale necessaria: il nodo dei diritti umani; e quindi, diciamo noi, anche del diritto alla pace.
Iniziative e manifestazioni varie – nei corridoi della conferenza e in città – hanno fatto pressione sui governi per fare inserire i diritti umani nel Rulebook evitando che potesse permanere il loro relegamento nel preambolo dell’Accordo di Parigi.di Parigi.
Nelle linee guida adottate “sembrano mancare elementi essenziali per rendere la transizione equa, giusta, inclusiva e per dare risposte ai più vulnerabili che purtroppo restano ancora poco tutelati”. È stato questo il commento della Réseau Action Climat, che raccoglie decine di associazioni ambientaliste secondo cui il documento non include i temi dei diritti umani, della sicurezza alimentare, dell’uguaglianza di genere.
Ma, a proposito di mancanze, anche in questa componente del movimento risulta però carente e spesso assente il concetto di “diritto alla sopravvivenza dell’Umanità”, strettamente collegato al “diritto alla pace” (e quindi a disarmo nucleare e smilitarizzazione), tema inquadrato al momento solo dai Disarmisti esigenti e dai loro partner più stretti: la WILPF Italia in primis.
Questo si evince chiaramente nella lettura del “Diario di Giovanna Pagani” (vai su: http://www.disarmistiesigenti.org/il-diario-di-giovanna-pagani-da-katowice/) cui rimandiamo per avere un quadro più dettagliato della mobilitazione di base a Katowice, con l’ottica particolare della “pace femminista in azione”.
Noi pensiamo che l’Europa, la nostra comunità politica di riferimento, possa giocare il suo ruolo più autentico se si dà da fare per promuovere la cultura ed il diritto della “Terrestrità” , come era nell’intenzione originaria del governo francese, quando a Parigi 2015 si progettava di far votare una “Dichiarazione dei diritti dell’Umanità“. Noi riteniamo che l’idea in nuce nel diritto internazionale attuale, in base alla quale esistono diritti della natura e diritti dell’Umanità all’interno del rapporto società-natura, sia la base necessaria di consapevolezza e di predisposizione etica su cui possono essere solidamente edificate le strategie e le politiche, che fissano gli obiettivi quantitativi, delle zero emissioni al 2050.
In questo senso, ritenendo inutile praticare il “gioco del più uno”, ma anche sensibili all’allarme proveniente dall’ultimo rapporto dell’IPCC presentato a Katowice, ci sembra importante appoggiare l’obiettivo proposto dall’attuale Parlamento Europeo che gli Stati nazionali, entro il 2020, potenzino i “tagli” che hanno già stabilito (qui l’Italia dovrebbe proclamare: comincio io ad essere più ambiziosa! la più ambiziosa!) al fine di realizzare l’incremento, dal 40 % al 55 %, dell’obiettivo di riduzione delle emissioni dell’UE per il 2030, tappa intermedia per le emissioni zero al 2050. Ma se si dovesse adottare l’obiettivo californiano delle zero emissioni al 2045 non saremmo certamente scontenti!
Le nostre proposte per realizzare la giusta transizione in Italia
Finora, in tutto il mondo, abbiamo stampato tanta moneta per immetterla nel circuito di una distorta finanza mondiale imperniata sulla centralità del dollaro. Si parla da parte della BCE di 2.500 miliardi di euro, mica noccioline! Da oggi un po’ di denaro pubblico, qui in Italia per cominciare, faremmo bene non diciamo a crearlo, per carità, ma soprattutto ad impiegarlo, per investimenti, trainanti i privati, con l’obiettivo della conversione energetica ed ecologica.
Questi investimenti dobbiamo attivarli non solo perché guardiamo ai loro vantaggi a breve termine, che pure indubbiamente esistono. Ma anche e soprattutto perché ormai – ce lo dicono gli scienziati dell’IPCC – non abbiamo alternative.
Abbiamo un decalogo virtuoso di misure da implementare:
1- convertire il più possibile i cannoni in mulini perché la preparazione della guerra è il processo più distruttivo per l’ambiente che possiamo immaginare
2- sostituire le fonti fossili con le rinnovabili, riqualificare energeticamente abitazioni, scuole, uffici, fabbriche, sviluppare un modello energetico democratico e decentrato
3 – puntare sulla mobilità elettrica riequilibrando verso il trasporto pubblico e verso il ferro contro la gomma
4- risistemare le città e ripopolare le campagne con una agricoltura deindustrializzata, rafforzando le produzioni biologiche e sostenibili
5- sviluppare riutilizzo e riciclo dei rifiuti, ma anche prevenire la loro formazione
6- intervenire per la riduzione del rischio idrogeologico mettendo in sicurezza i territori
7- bonificare i siti inquinati e contaminati, a partire da quelli devastati dall’eredità delle scorie radioattive
8- riqualificare il sistema idrico nazionale nel rispetto del referendum del 2011 contro la privatizzazione dell’acqua
9- tutelare e valorizzare beni comuni e pubblici: il suolo e i paesaggi, ma anche le strutture per poter rendere effettivi i diritti alla casa, alla salute, allo studio, alle pari opportunità senza discriminazioni di genere
10- potenziare ed orientare ricerca, istruzione e formazione verso la conversione energetica ed ecologica e verso il “diritto alla pace”.
Questo decalogo può benissimo rimanere una serie di slogan vuoti. Per passare a piani concreti, ai fatti, abbiamo bisogno del sincero contributo di mente e di cuore delle donne e degli uomini di buona volontà. E del riferimento a situazioni concrete, con tanto di bei numeri stimabili e calcolabili in operazioni ben precise di addizioni e sottrazioni sul bilancio dello Stato. Uno sforzo in questo senso, ad esempio, è stato fatto dalla Fondazione per lo sviluppo sostenibile durante gli “Stati generali dell’economia verde”, svoltisi a Rimini lo scorso novembre nell’ambito della Fiera “ECOMONDO”. Il presidente Edo Ronchi ha proposto investimenti e misure per raddoppiare entro 5 anni l’attuale occupazione nei settori ambientali portandola a 6,5 milioni di unità.
8 miliardi pubblici all’anno per cinque anni, che avvierebbero flussi privati di due volte tanto, otterrebbero praticamente la piena occupazione “ufficiale” del nostro Paese, considerato che i disoccupati registrati come tali sono circa 3 milioni!
I Disarmisti esigenti, con i loro partner WILPF, Accademia Kronos, Energia Felice, PeaceLink, pensano sicuramente che questa proposta della FVS sia molto importante; ma ritengono anche che occorra un più “radicale” gruppo di lavoro per estenderla e perfezionarla nel senso dell’occupazione verde-rosa, vagliando in modo più puntiglioso e restrittivo la questione del “greenwashing”.
La proposta, ribadita durante l’assemblea di SI’-AMO LA TERRA (Roma 11 novembre 2018), è quella di convertire ad opere ambientalmente e socialmente utili (vedi decalogo sopra riportato) i 100 miliardi circa ricavabili dai risparmi sulla legge Gentiloni che individua 24 opere prioritarie nocive, dai tagli sulle spese militari incostituzionali (riarmo atomico a Ghedi ed Aviano, F35, MUOS, ampliamento base militare di Camp Darby e Ghedi), dallo stop a nuovi oleodotti/gasdotti e pozzi petroliferi, dall’abolizione (con giudizio per evitare gilet gialli italiani) degli incentivi alle fonti fossili…
La WILPF Italia, con il suo progetto “PACE FEMMINISTA IN AZIONE: giustizia climatica sicurezza e salute”, dovrebbe garantire quell’innovativo approccio di genere capace di sviluppare proposte per un nuovo lavoro in una nuova società con le donne protagoniste.
Anche la Coalizione Clima potrebbe condividere l’approccio che tende ad identificare la Giusta Transizione con la Piena Occupazione Verde mediante il ruolo trainante degli investimenti pubblici; per l’intanto discutendone nel convegno che ha in programma per la prossima Primavera.
Il piano che si potrebbe mettere insieme su questa base (nuovi scenari con più soldi pubblici in campo rispetto a quelli ipotizzati dalla FSV ma anche con criteri più restrittivi per distinguere ciò che è verde da ciò che non lo è) potrebbe poi esprimersi in una piattaforma oggetto di un tavolo di contrattazione. Ma la nostra idea è che le OSL si siedano a confrontarsi con il governo insieme alle organizzazioni nazionali e locali della società civile (organizzate attraverso reti come appunto la Coalizione Clima e SI’-amo la Terra).
Nota finale
In conclusione, riteniamo importante che non si dimentichi mai che noi non siamo una “avanguardia” separata, mossa da presupposti ideologici, ma siamo effettivamente “gente” che vive pienamente tutte le preoccupazioni delle donne e degli uomini della strada, rispettandone ansie e attese, ma con la responsabilità aggiuntiva che deriva dal possedere qualche elemento conoscitivo in più, proveniente dal fare parte dei nostri circuiti organizzativi e di dialogo di base.
Questo ci consente di lavorare su visioni sistemiche dei problemi e delle soluzioni, adottando approcci che esaltino le interrelazioni tra obiettivi e target, favorendo le sinergie e i co- benefici delle azioni e ne traggano il potenziale “trasformativo” che altrimenti rischia di perdersi in un elenco di rivendicazioni e “resistenze” spicciole, non certo tutte dello stesso tenore e della stessa potenzialità.
Purtroppo, spesso si ha la tendenza a isolare e “scegliersi” gli obiettivi, ma questo vuol dire contravvenire ai principi base dell’ecosviluppo, le connessioni, gli intrecci, le interdipendenze. Esistono invece filoni trasversali che favoriscono una visione e un’azione d’insieme: la “Giusta Transizione” è uno di questi.
Tramite questo percorso possiamo tentare di integrare la questione ambientale con quella economica e soprattutto con quella sociale nel senso più complesso, profondo e completo, includente la costruzione della pace positiva fondata sul disarmo.
“La transizione giusta è un processo che produce piani, politiche e investimenti che portano a un futuro in cui tutti i posti di lavoro siano verdi e decenti, le emissioni di gas serra siano a carbonio zero, la povertà sia sradicata e le comunità siano fiorenti e resilienti”: così recita il Centro per la Giusta Transizione recentemente fondato dai sindacati internazionali.
E’ facile comprendere, quindi, che la definizione abbraccia un complesso di azioni, fondate sulla partecipazione, e mette in relazione diversi Obiettivi (SDGs) e target per lo sviluppo sostenibile, così come ufficialmente definiti dall’Agenda ONU quando, nel settembre 2015, ha delineato un programma di azione per le persone, il pianeta e la prosperità sottoscritto dai governi dei 193 Paesi membri dell’ONU.
L’Agenda ingloba 17 Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile – Sustainable Development Goals, SDGs – a loro volta suddivisi in programmi di azione per un totale di 169 ‘target’ o traguardi.
Quello che noi intendiamo sottolineare è che la Giusta Transizione va impostata abbracciando TUTTI gli SDGs, nessuno escluso, e, dal nostro punto di vista, ci proponiamo di evidenziare la centralità dell’obiettivo 16, la pace, in quanto convinti che “non c’è giustizia climatica senza giustizia”; e quindi non c’è giustizia climatica senza pace, in quanto non c’è giustizia senza pace! Soprattutto se la guerra oggi può significare la scomparsa anche in un attimo dell’intero genere umano: non possiamo che concordare con Sharan Burrow, la Segretaria Generale dell’ITUC (la Confederazione sindacale internazionale), nella sua considerazione chiara, risolutiva e definitiva: “Non esistono posti di lavoro su un Pianeta morto!”.
Primi firmatari:
Giuseppe Farinella – Il Sole di Parigi
Giovanna Pagani – WILPF Italia
Alfonso Navarra – Disarmisti Esigenti
Oliviero Sorbini – Accademia Kronos